3.
Due segugi
Inseguire una persona è un’attività emozionante. Per Annette e Fabò era come se tutta la città, fino a quel momento distante e priva di interesse, si fosse improvvisamente animata. Annette era troppo concentrata e concreta per figurarsi chissà quale scoperta, ma camminava con passo risoluto, da testarda pedinatrice. Fabò, dovendo limitarsi a seguire la sorella, aveva invece dato sfogo alle sue fantasie investigative più consolidate, ipotizzando che il tizio con il basco sarebbe stato ben presto investito una seconda volta, oppure avrebbe imboccato un vicolo malfamato in cui sarebbe sparito in una nuvola di incenso, oppure ancora...
— Fabò — disse Annette facendogli cenno di fermarsi a un angolo.
— Che cosa succede?
— Direi che il signor Deloffre è arrivato.
Annette stava sbirciando oltre l’angolo della strada, e Fabò si protese davanti a lei per vedere meglio.
— Fermo! Si è girato!
Si schiacciarono contro il muro, con il cuore che perdeva un colpo.
— Ci ha visto?
— Forse.
Con cautela, si sporsero a guardare una seconda volta. La strada era in leggera salita e terminava con una scaletta che la collegava con la via successiva. C’erano pozze d’acqua attorno ai tombini, una stireria cinese e un negozio di fumetti.
— Dov’è finito? — domandò Fabò.
— È entrato là, in quel palazzo — indicò Annette.
— E secondo te... perché?
— Non ne ho idea.
— Allora te lo dico io! — esclamò il ragazzo. Eludendo la marcatura della sorella, attraversò la strada e raggiunse il palazzo in questione. Controllò le targhette con i nomi sul citofono e, non appena individuò quella con scritto sopra Deloffre, ghignò: — Forse perché questa è casa sua? Che brividi! Abbiamo seguito un misterioso signore dal cappello buffo... fino a casa sua!
Annette storse la bocca, ma si annotò sul telefonino ora e indirizzo.
— E adesso che cosa facciamo, signorina Ellerton? Acquistiamo un giornale e ce ne stiamo qua sotto per sei ore ad aspettare che scenda a comprare il sale... oppure ce ne torniamo a casa?
— Molto simpatico — replicò Annette con un sorrisetto furbo. — Intanto è stato divertente. Negalo se puoi!
Fabò non disse nulla: Annette aveva ragione. Gli era piaciuto seguire quel tipo aspettandosi che succedesse chissà cosa. Controllò l’orologio e chiese: — Sai che cosa sarà divertente, adesso?
Quando riaprirono la porta di casa, al terzo piano del palazzo al numero 11 di vicolo Voltaire, furono accolti dalla madre, che li fissava con i pugni puntati sui fianchi.
— Annette, Fabrice! Non posso crederci, lo avete fatto ancora... — esordì trafiggendoli con uno sguardo affilato.
— Fatto cosa? — replicò il figlio con un’aria da angioletto appena cascato da una nuvola.
— Non fare il furbo — lo sgridò la madre. — Avete aspettato che fossi occupata e mi avete strappato il permesso per andare a riempirvi di schifezze.
— Mamma! Chiamare “schifezze” le crêpe di Bernard è un sacrilegio! — protestò Annette.
— E va bene... — sospirò Valentine Gaillard avviandosi verso il suo studio. — Vorrà dire che questa sera bilancerete con pollo lesso macrobiotico e broccoletti al vapore! — concluse nel tono di chi consuma la sua terribile vendetta.
Annette e Fabò si scambiarono uno sguardo avvilito. Recuperarono i compiti e i libri e prepararono in automatico la tavola per quattro, come facevano ogni sera. A salvarli dal pensiero della malinconica cena che li attendeva arrivò poco dopo una potente e modulata scampanellata alla porta di casa.
— Lalou! — esclamò Annette aprendo la porta.
Lalou Kaborè abitava all’ultimo piano. Era un ragazzo di colore con i capelli raccolti in un mucchio di treccine; aveva sedici anni, era più grande di Annette e Fabò, che ne avevano rispettivamente tredici e dodici, ed era ormai diventato il loro amico più fidato. Ciò che aveva suggellato per sempre la loro amicizia era stata la faccenda delle “grondaie noiose”. Quanto tempo era passato ormai? Quasi un anno?
Era andata così: Fabò, Annette e Lalou avevano deciso di ravvivare il colore delle vecchie grondaie del palazzo servendosi di un kit di bombolette di vernice fosforescente.
Quando si erano accorti della loro anonima “opera d’arte”, alcuni condomini erano andati molto vicini allo svenimento. Altri avevano inveito contro i soliti teppisti. Altri ancora avevano minacciato di chiamare la polizia, ma dato che il commissario, il capitano Gaillard, abitava nello stesso palazzo... non si era fatto poi molto. Tranne ovviamente ridipingere le grondaie di un confortante color rame. Per loro fortuna, Annette, Fabò e Lalou non erano stati scoperti. O, almeno, era quello che avevano sempre pensato.
E adesso eccolo lì, Lalou, sul pianerottolo, con un’espressione vagamente imbarazzata.
— Ciao, ragazzi! Sentite... posso usare la vostra connessione Internet? — domandò con la sua voce calda e tranquilla.
— Sicuro! — annuì Annette facendolo entrare con un grande sorriso. — Mamma! C’è Lalou!
Tua madre ti ha di nuovo sequestrato il modem? chiese invece Fabò.
— Esatto — confermò Lalou con un coreografico gesto della mano. — Tutta colpa dei miei voti in matematica — spiegò.
— Non ti lamentare — gli sussurrò Annette all’orecchio. — Almeno la tua non ti cucina i broccoletti al vapore!
I tre si diressero nella stanza di Fabò, dove Lalou si piazzò alla scrivania, aprì il suo portatile e cominciò immediatamente a scaricare una tempesta di ditate sulla tastiera.
— Come state, ragazzi?
Annette e Fabò erano ancora elettrizzati dalla loro avventura pomeridiana e, senza nemmeno pensarci, si lanciarono in un dettagliato resoconto di quanto era successo.
Dopo qualche minuto, Annette concluse: — ...E così abbiamo scoperto che questo Deloffre abita in rue Charlot al numero 23!
Un distratto «wow» fu l’unica reazione di Lalou, sempre appiccicato allo schermo del suo portatile.
— Insomma! — protestò Fabò. — Hai sentito quello che ti abbiamo detto?
Il ragazzo annuì, facendo ondeggiare le treccine, mentre le sue dita continuavano a correre sulla tastiera come ragni impazziti. — Certo! Quel tizio... Delfart... Stava per finire stirato, stecchito, kaputt!
— Deloffre — lo corresse Annette.
— E poi non è stato un caso — precisò Fabò. — Quella macchina voleva metterlo sotto!
Lalou smanettò ancora un po’ sul suo portatile e finalmente lo richiuse con aria soddisfatta. — Beh, ragazzi... Io non voglio smontarvi, però a Parigi ci sono un sacco di persone che comprano sacchetti di salsicce troppo care e che guidano anche se non dovrebbero, quindi... — disse accompagnando le parole con i suoi caratteristici gesti fluidi.
Annette scosse energicamente il capo. — Non capisci. Quella macchina è schizzata in strada solo quando Deloffre ha cominciato ad attraversare. Insisto: lui era la vittima predestinata. E poi dovevi sentirlo... quel tizio parlava di una maledizione... di accuse... Secondo noi c’è sotto qualcosa di strano... — aggiunse Fabò. — Sai... qualcosa tipo...
— Tipo gli assassini urlanti della settimana scorsa? — ridacchiò Lalou. — Che poi erano solo un paio di gatti innamorati?
— Questa volta, però, Fabò ha ragione... — replicò Annette. — Dovevi vedere come si guardava intorno prima di entrare in casa. Occhi da uomo braccato! — sentenziò con il dito sollevato, un gesto tipico del grande King Ellerton.
Lalou sembrò considerare seriamente che in quella faccenda ci potesse essere davvero qualcosa di misterioso. Ma, proprio in quel momento, i suoi occhi caddero sulla sveglia che si trovava sul comodino di Fabò.
— Devo andare — disse scattando in piedi.
— Beh? — fece Fabò.
— Ho le prove con il gruppo! E sono già in ritardo spiegò mentre schizzava via come un gatto. — Scusate, ragazzi! Ne riparliamo un’altra volta, promesso —. Quest’ultima frase la disse a beneficio di Annette. Poi aggiunse: — Buonasera, signora!
Il ragazzo dalle treccine indomabili scomparve oltre la porta di casa Gaillard. Annette e Fabò, tuttavia, non se la presero. Sapevano che Lalou era così: faceva sempre cento cose insieme, come se avesse a disposizione il doppio del tempo rispetto a tutte le altre persone!
— Ma le prove del gruppo non sono il giovedì? — si domandò più tardi Annette guardando il fratello.
— E chi se lo ricorda?
I due allontanarono dalla loro mente Lalou e la faccenda di Deloffre e si concentrarono per una mezz’ora sui compiti per il giorno dopo, mentre la madre preparava la cena. Quando alzarono la testa dai libri, la casa era già invasa da uno sgradevole odore di broccoletti.